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Georgie

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Georgie, di Man Izawa e Yumiko Igarashi.

Personalmente credo di aver avuto una grande fortuna: sono stata bambina quando il target nei cartoni animati era uno sconosciuto (anche se il Moige era già ferocemente in azione). Certo, questo ha portato a tragici fraintendimenti, tipo Akira venduto come film adatto a tutti, ma ha avuto anche risvolti positivi: se a cinque anni vedi Candy Candy, ti sembra Shakespeare. Trovarsi piccoli a seguire storie progettate per un target di una manciata d’anni più grande ha portato ricordi di storie che appassionavano tantissimo, e almeno a me hanno lasciato il ricordo di un sense of wonder incredibile legato alle storie, che mi ha spinta a ricercarlo un po’ in ogni media.
Ho provato a rivedere qualche vecchia gloria, di quelle che non ricordo la storia ma quanto mi piaceva, e non è stata sempre un’idea brillante: non sono più piccolina, il target l’ho sforato nell’altro senso e la narrativa la conosco abbastanza da ridere di brutto delle ingenuità.
A cosa serve questo lungo preambolo? Beh, visto che ripescare gli anime mi crea ansia, ho l’abitudine di comprare i manga da cui tali anime sono stati tratti, e qualche anno fa uscì una versione fighissima di Georgie, con sovracopertina ed illustrazioni a colori. E Georgie, di cui veramente ricordo solo la sigla perchè la cantavano le mie cugine grandi, è un po’ la sorella ribelle di Candy, e non solo perché di mezzo c’è la stessa penna.

Mi pare di aver letto da qualche parte che l’autrice si divertita perchè sono speculari: Candy è un’orfana, Georgie… non proprio. Candy era castissima, Georgie tanto – ma tanto– più disinvolta.
Insomma, me lo sono preso e ricordo di essermici divertita come una scema. E in campagna mi è venuta voglia di rileggerlo, e voi non potete capire.
È l’incrocio tra la soap opera e gli YA moderni.
Georgie è una bellissima bambina che vive in Australia con la madre (nome non pervenuto) e i due bellissimi fratelli maggiori, Abel ed Arthur. I tre sono molto uniti, ma anche molto diversi: Georgie è bionda con gli occhi verdi, loro mori con gli occhi scuri. Anche la mamma è scura, mentre del defunto padre non si conoscono i connotati.
La loro vita procede all’apparenza tranquilla e serena, finchè Georgie passa da bellissima bambina a bellissima adolescente, e le dinamiche familiari iniziano a diventare inquietanti: la ragazzina è allegra e disinibita e i fratelli iniziano a provare per lei sentimenti decisamente inappropriati (talmente intensi che Abel diventa marinaio pur di allontanarsi da lei) e la madre si trasforma in un mostro da telefono azzurro. Un triangolo incestuoso, ma prima che si possa urlare allo scandalo ecco il primo, scontatissimo, colpo di scena: Georgie non è sorella di sangue ma una bimba che una donna morente – probabilmente una deportata – ha affidato alle cure della famiglia.
E giù dramma, perché ovviamente è una scena over-drammatica, con Georgie giustamente sconvolta e un fratello che si propone prima che lei abbia tempo di metabolizzare la notizia (con lo zio che cerca di spiegargli che anche se non hanno legami di sangue lei comunque li considera fratelli).
Insomma, dramma ovunque. Anche di cuore, perché questo tipo di storia non campa senza l’amore: ed ecco che Georgie si innamora di Lowell e al caos familiare-incestuoso (ma non troppo) si intreccia quello prettamente romantico. Lowell è ricco sfondato, vive a Londra e la sua famiglia sta cercando di passare alla nobiltà tramite matrimonio del rampollo, e visto che Georgie è nella migliore delle ipotesi un’emerita figlia di nessuno non la vogliono vedere neanche in cartolina. E poi lui è fidanzato con l’amica d’infanzia Elise, che la nobiltà le esce anche dalle orecchie, e di base sono talmente contrastati che perfino LA REGINA non vuole che stiano insieme.
E questo è l’inizio­: questo manga che racchiude un sacco di sotto-trame: c’è tutto il casino in Australia, poi tutta la storia di Lowell, la ricerca di Georgie della sua vera famiglia (che è in fondo alla lista delle priorità perché lei ha, giustamente, la sua vita), e poi il finale adrenalinico con rapimenti, droga, violenza, corruzione, attentati e chi più ne ha più ne metta.
Il delirio, ma in senso buono.
È un manga vecchio, che si sente l’età per i dialoghi, per l’insta-love, ma che ha anche tante cose funzionano: dei momenti drammatici sentiti, dei siparietti divertenti, un cast notevole. Georgie è un po’ generica (bella, energica, maschiaccio) ma risulta simpatica, Abel è l’irruento bel tenebroso, mentre Arthur è quello più dolce e riflessivo. Ma anche i comprimari non scherzano: se Lowell è anonimo in modo imbarazzante (e in alcuni momenti l’avrei battuto contro un muro), Catherine e la sua assurda famiglia sono adorabili, così come Emma e Dick.
E poi ci sono quei momenti di lol puro, che Georgie indossa abiti con sottogonna, corsetto, crinolina, un milione di strati… ma se si impiglia in un ramo si ritrova immediatamente in biancheria. C’è il geniale piano di Abel per trovarla a Londra, ossia addestrare un pappagallo a dire il suo nome perché ovviamente lei lo sentirà e capirà sicuramente tutto. C’è Georgie che vede tutti i personaggi maschili nudi, si fa vedere da tutti nuda, ed è ovvio che con Lowell non si è limitata al limone duro, e non gliene frega niente a nessuno.
E ha dei disegni stupendi, che mi hanno quasi fatto venir voglia di riprendere con il cosplay.

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