Mordred, di Nancy Springer.
Sono tornata, e in questi giorni ho anche avuto il tempo di scrivere qualche recensione.
Incredibilmente un libro che ha Mordred come protagonista non è il mio preferito.
Il libro di Nancy Springer è un retelling che mette sotto i riflettori proprio Mordred, il bambino nato da un terribile incesto, destinato a mettere la parola fine alla leggenda di re Artù. Un personaggio negativo, il traditore, l’assassino: nella letteratura classica non c’è spazio per la redenzione o per la simpatia. È l’antagonista, puro e semplice.
La Springer, invece, fa di Mordred la voce narrante: il libro si apre con un capitolo cupissimo del mito, ossia l’omicidio dei bambini di maggio. Un giovanissimo Artù, appena divenuto re, che manda a morire quaranta bambini per ucciderne uno solo. Suo figlio.
Noi ritroviamo Mordred sei anni dopo, cresciuto da una coppia di pescatori, felice, innocente, amato… finchè le ruote del destino non si mettono in moto e il piccolo viene portato da sua madre Morgause, da Lot, da una famiglia che non lo vuole e di certo non lo ama.
Il libro non è un retelling degli episodi arturiani più conosciuti, ma va ad analizzare un aspetto che molto spesso viene messo da parte, ossia cosa significa essere Mordred. Cosa vuol dire essere la persona destinata ad uccidere il proprio padre, a distruggere tutto.
Questo Mordred vive costantemente lo stigma sociale: la profezia di Merlino è stata resa pubblica, quindi tutti sanno cosa è destinato a fare e il ragazzo (perché per la maggior parte del libro ha sedici anni) è giudicato e condannato per qualcosa che non ha ancora commesso, e a nessuno importa che non voglia nemmeno farlo.
A questo si aggiunge il dilemma interiore: sarebbe più semplice, se fosse uno stronzo. Ma non lo è: è un ragazzo buono, adora Artù come re e come persona, ha uno spiccato senso di giustizia… ma, allo stesso tempo, i suoi sentimenti verso Artù come padre sono molto più ambigui e conflittuali.
Artù ha provato ad ucciderlo. Artù gli vuole bene, cerca di dimostrargli stima, per certi versi lo vizia… ma non lo riconosce mai come figlio, nemmeno in privato.
Mordred lo odia per questo.
Artù è così perfetto che solo ad odiarlo si sente in colpa.
Qui abbiamo il punto di vista di Mordred, ma soprattutto abbiamo il punto di vista di una pedina che cerca disperatamente di opporsi al suo destino senza speranza di infrangerlo: Mordred non ha nessuna possibilità di scelta, ed è furioso per questo, per come la sua intera vita sia l’accessorio della profezia di un altro. Perché parliamoci chiaro: la profezia è su Artù, non su di lui, e noi leggiamo di questo ragazzino che viaggia in lungo e in largo cercando un modo di cambiare le cose, per poi sbattere la faccia sempre lì, sempre a Camlann, sempre sul senso di colpa di Artù che lì vuole scontare la colpa di aver messo incinta la sorella e – in questa versione – aver ucciso trentanove neonati, e a nulla vale la protesta di Mordred, che non ha fatto niente se non nascere e deve pagare lo stesso prezzo di suo padre.
Da un lato, quindi, abbiamo un’analisi interessante del personaggio e del suo ruolo, di quali possano essere le conseguenze a vivere una situazione così “tesa”. Ci sono, però, alcuni aspetti negativi: il primo è che – nonostante tutto – Mordred è lagnoso. Ok, ne ha tutti i diritti, ma la comprensibile frustrazione per il fatto che niente e nessuno lo tenga in considerazione (è visto unicamente come un pezzo della profezia) ha come conseguenza che la maggior parte dei suoi pensieri siano un “Io io io io io io io io io io io…” che alla lunga risulta fastidioso. A questo si aggiungono un paio di cose legate al target: questo è un libro per ragazzi (in patria è indicato dai 10 anni in su) e anche se in inquadrato in quest’ottica risulta molto pesante (omicidio, incesto, infanticidio, tanto per cominciare), per un pubblico adulto è troppo facilone. Per non parlare dello stile: premetto che non so quanto dipenda dalla traduzione (che ha adattato in italiano ogni nome, con risultati discutibili come Morgasia al posto di Morgause), è veramente troppo semplice ed infantile, a volte a discapito della storia. Diciamo che non c’è un connubio vincente tra temi complessi e scrittura accessibile ai più giovani.
L’eccessiva semplicità colpisce anche gli elementi più vicini alla leggenda: con due eccezioni, i cavalieri che vediamo sono dei bruti privi di quell’onore che si associa tipicamente alla Tavola Rotonda, e non si riesce a percepire la grandezza di Camelot. La figura di Merlino, inoltre, ne esce piuttosto malconcia.
Insomma, è un po’ come se, nel tentativo di mostrare il punto di vista di Mordred, la Springer si fosse scordata di tenere in considerazione quello di tutti gli altri.
Artù mi lascia più perplessa, nel senso che è stato tratteggiato in modo interessante: un uomo forte e giusto, ma molto malinconico, che porta consapevolmente il peso di responsabilità e colpe sulle spalle, che mai si è perdonato quell’errore per cui trentanove bambini hanno perso la vita, e che sembra quasi guardare con sollievo all’inevitabile fine. Un’angolazione interessante, che raramente viene usata per il re, ma che forse avrebbe funzionato meglio in un'altro tipo di libro.
Però il finale mi è piaciuto un sacco.
In definitiva? Beh, un libro carino, sicuramente da leggere se – come me – si ama Mordred.
Sono tornata, e in questi giorni ho anche avuto il tempo di scrivere qualche recensione.
Incredibilmente un libro che ha Mordred come protagonista non è il mio preferito.
Il libro di Nancy Springer è un retelling che mette sotto i riflettori proprio Mordred, il bambino nato da un terribile incesto, destinato a mettere la parola fine alla leggenda di re Artù. Un personaggio negativo, il traditore, l’assassino: nella letteratura classica non c’è spazio per la redenzione o per la simpatia. È l’antagonista, puro e semplice.
La Springer, invece, fa di Mordred la voce narrante: il libro si apre con un capitolo cupissimo del mito, ossia l’omicidio dei bambini di maggio. Un giovanissimo Artù, appena divenuto re, che manda a morire quaranta bambini per ucciderne uno solo. Suo figlio.
Noi ritroviamo Mordred sei anni dopo, cresciuto da una coppia di pescatori, felice, innocente, amato… finchè le ruote del destino non si mettono in moto e il piccolo viene portato da sua madre Morgause, da Lot, da una famiglia che non lo vuole e di certo non lo ama.
Il libro non è un retelling degli episodi arturiani più conosciuti, ma va ad analizzare un aspetto che molto spesso viene messo da parte, ossia cosa significa essere Mordred. Cosa vuol dire essere la persona destinata ad uccidere il proprio padre, a distruggere tutto.

A questo si aggiunge il dilemma interiore: sarebbe più semplice, se fosse uno stronzo. Ma non lo è: è un ragazzo buono, adora Artù come re e come persona, ha uno spiccato senso di giustizia… ma, allo stesso tempo, i suoi sentimenti verso Artù come padre sono molto più ambigui e conflittuali.
Artù ha provato ad ucciderlo. Artù gli vuole bene, cerca di dimostrargli stima, per certi versi lo vizia… ma non lo riconosce mai come figlio, nemmeno in privato.
Mordred lo odia per questo.
Artù è così perfetto che solo ad odiarlo si sente in colpa.
Qui abbiamo il punto di vista di Mordred, ma soprattutto abbiamo il punto di vista di una pedina che cerca disperatamente di opporsi al suo destino senza speranza di infrangerlo: Mordred non ha nessuna possibilità di scelta, ed è furioso per questo, per come la sua intera vita sia l’accessorio della profezia di un altro. Perché parliamoci chiaro: la profezia è su Artù, non su di lui, e noi leggiamo di questo ragazzino che viaggia in lungo e in largo cercando un modo di cambiare le cose, per poi sbattere la faccia sempre lì, sempre a Camlann, sempre sul senso di colpa di Artù che lì vuole scontare la colpa di aver messo incinta la sorella e – in questa versione – aver ucciso trentanove neonati, e a nulla vale la protesta di Mordred, che non ha fatto niente se non nascere e deve pagare lo stesso prezzo di suo padre.

L’eccessiva semplicità colpisce anche gli elementi più vicini alla leggenda: con due eccezioni, i cavalieri che vediamo sono dei bruti privi di quell’onore che si associa tipicamente alla Tavola Rotonda, e non si riesce a percepire la grandezza di Camelot. La figura di Merlino, inoltre, ne esce piuttosto malconcia.
Insomma, è un po’ come se, nel tentativo di mostrare il punto di vista di Mordred, la Springer si fosse scordata di tenere in considerazione quello di tutti gli altri.
Artù mi lascia più perplessa, nel senso che è stato tratteggiato in modo interessante: un uomo forte e giusto, ma molto malinconico, che porta consapevolmente il peso di responsabilità e colpe sulle spalle, che mai si è perdonato quell’errore per cui trentanove bambini hanno perso la vita, e che sembra quasi guardare con sollievo all’inevitabile fine. Un’angolazione interessante, che raramente viene usata per il re, ma che forse avrebbe funzionato meglio in un'altro tipo di libro.
Però il finale mi è piaciuto un sacco.
In definitiva? Beh, un libro carino, sicuramente da leggere se – come me – si ama Mordred.